Le cronache recenti hanno acceso un feroce dibattito su un tema fino ad ora poco trattato, passato in secondo piano a causa della crisi economica e politica che ha colpito il nostro paese: lo ius soli.
Cosa significa, dunque, questa locuzione latina? E’ un’espressione prettamente giuridica che indica l’attribuzione ad un soggetto della cittadinanza per il solo ed unico fatto di essere nato nel territorio di un determinato Stato, con la conseguenziale acquisizione dei diritti e dei doveri che dato status comporta.
Rimanendo sempre in ambito giuridico, i teorici dello ius soli si contrappongono principalmente ai fautori della teoria dello ius sanguinis, che attribuisce invece la cittadinanza solo al nato da almeno uno dei genitori già cittadino di quel determinato stato.
La legislazione attualmente vigente in Italia attribuisce ai nuovi nati la cittadinanza solo se: essi sono figli di madre o padre cittadini; se nati nel territorio della Repubblica da entrambi i genitori apolidi; se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori, secondo le leggi dello Stato di questi.
La tematica, dunque, se già ben delineata e consolidata in ambito giuridico, è stata riproposta recentemente quale “problema sociale” dal Ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge, che ha proposto l’introduzione dello ius soli puro per tutti i nati in Italia da genitori immigrati.
Secondo l’interpretazione del Ministro, sarebbe questa la soluzione ai problemi di integrazione sociale che derivano dalla massiccia immigrazione che vede il nostro Paese meta ultima di molti migranti.
Restando comunque al di fuori della bagarre politica, che non interessa in questa sede, è necessario specificare come questa soluzione non sia largamente condivisa e come negli altri Paesi del mondo “occidentale” le cose funzionino diversamente.
Il primo punto della nostra osservazione impone analizzare la situazione nell’ambito dei confini nazionali italiani.
Siamo sicuri che lo ius sia la soluzione ai problemi di integrazione che affliggono il nostro Paese? Sembra proprio di no.
L’unica vera soluzione ai problemi che derivano dall’immigrazione (soprattutto quella massiccia) è l’integrazione del migrante nella struttura giuridico-sociale del Paese in cui esso si stabilisce.
E per integrazione deve intendersi quella “vera”, che consenta al “nuovo arrivato” di poter comprendere la lingua scritta e parlata, conoscere le regole principali che governano lo Stato (si fa riferimento, per esempio, ai principi fondamentali della Costituzione italiana), allontanarsi da fenomeni quali lavoro nero o criminalità.
Tutto ciò è possibile, ovviamente, solo se lo Stato ha un elevato potere di “assorbimento” e possa mettere il migrante nelle condizioni migliori.
L’esempio che rappresenta in pieno questa situazione è sicuramente la Germania, che ha al suo interno grandi comunità polacche, turche ed algerina perfettamente integrate (i calciatori della nazionale tedesca Ozil, Klose, Podolski, Khedira, tanto per citarne alcuni, sono di origine extratedesca).
Un esempio in negativo, purtroppo, è proprio l’Italia che, complice problemi interni irrisolti da tempo ormai immemore, ha una bassissima capacità di assorbimento e non aiuta i migranti a integrarsi davvero. I nostri Balotelli, Ogbonna o El Sharaawy sembrano più che altro “dei cavalli da parata”, ed il vuoto normativo unito al generale menefreghismo dei politici (ci ricordiamo lo slogan “diamo il voto agli immigrati” solo per raccogliere più voti alle elezioni?) fanno il resto.
Il piano del Ministro Kyenge, dunque, sembra proprio l’ennesima castroneria politico-nazionale, il topolino partorito dalla montagna, che se applicato in pieno, porterebbe più danni che benefici, attribuendo de iure la cittadinanza a coloro che de facto cittadini non sono.
Il secondo punto d’osservazione, invece, consente di spaziare nell’intero globo e verificare se e come lo ius soli venga applicato.
La cittadinanza per nascita dura e pura trova applicazione negli Stati Uniti, in Canada e nei paesi dell’America latina, anche se, dopo l’11 settembre 2001, il Congresso americano con la promulgazione del P.A.T.R.I.O.T. Act offre la possibilità di limitare l’applicazione dello ius soli qualora possa costituire pericolo per la sicurezza nazionale.
In Europa, invece, Francia, Germania, Inghilterra, Irlanda e Grecia applicano uno ius soli particolarmente mediato: in questi Paesi, infatti, esso consiste nell’offrire un percorso “facilitato” per l’ottenimento della cittadinanza se il soggetto è nato e risiede stabilmente in quel Paese.
In conclusione, dunque, piuttosto che continuare con gli slogan e le “sparate” tanto cari ai nostri politici, sarebbe meglio pensare a come migliorare le condizioni degli immigrati ed a come consentire loro di integrarsi, oltre a permettergli di conoscere e far rispettare le leggi, la lingua e le tradizioni italiane.
Solo così l’immigrazione può diventare integrazione; e come direbbe il rag. Ugo Fantozzi “per me, lo ius soli, è una cagata pazzesca”.
Novantadue minuti di applausi.
Paolo Leone