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Manifestiamoci, ancora. L’essenza di Manifest

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Dopo aver intervistato i fondatori di Manifest, ed aver da loro sentito quali sono le idee base del progetto, è il momento di sentire le opinioni degli altri partecipanti. Alcuni di loro, come Simona Castagnaro o Vincenzo Costabile, vivono a Lamezia. Altri, pur essendo integrati nel progetto, vivono altrove, in particolare Andrea Icardi (Alessandria), Pierluigi Cuccitto (Pesaro, ora Cosenza), Giulia Vismara (Brianza).

Senti la necessità di manifestare qualcosa? Se si, cosa?

Andrea: Sento la necessità di manifestare me stesso.

Pierluigi: Sento la necessità di manifestare la libertà di aver qualcosa di personale da dire sul mondo, in anni di pensiero omologato

Giulia: Sento ogni giorno la necessità di manifestare. Ogni giorno qualcosa di diverso, ogni giorno qualcosa di differente. Sento la necessità di manifestare innanzitutto la bellezza delle piccole cose guardate attraverso occhi sempre nuovi.

Vincenzo: Penso che abbiamo tutti bisogno di manifestare la nostra presenza nel mondo, ma non dev’essere fatto con ostentazione e manie di protagonismo.

Simona: Sento la necessità di manifestare le mie sensazioni e di trovare il mio posto, all’ interno di un mondo e di un contesto, dove, sfortunatamente, e generalmente, vivere è semplice, ma appartenere è impossibile. Dunque, il mio proposito non è facile, ma ci provo, ugualmente e testardamente.

Perchè Manifest?

Andrea: Perché posso appunto manifestare ciò che mi passa per la testa, senza alcun vincolo.

Pierluigi: Perchè da soli non si fa mai nulla; e perché la comunità oggi va riscoperta. Inoltre ho trovato ragazzi come me, che hanno lo stesso modo di vedere le cose e di vivere

Giulia: Perché Manifest ti spinge a manifestare. Già dal nome ti stuzzica quella voglia di rovistare nel più profondo del proprio essere e dare sfogo a quei pensieri che troppo spesso per mancanza di tempo o di coraggio si tengono nascosti persino a sé stessi.

Vincenzo: Manifest è un falò attorno al quale noi leggiamo e ci riscaldiamo e che illumina la notte lametina.

Simona: Perché, appunto, si vuole andare “contro”, o, per meglio dire, si vuole andare “oltre”. Nel mio caso, parlo di un “oltre”, posto in relazione al mondo e al contesto che ho descritto e a quelli che possono essere i miei limiti. Ho imparato, grazie a questo progetto, che mettersi in gioco è fondamentale.

Quale è il tuo livello di coinvolgimento?

Andrea: Il mio livello di coinvolgimento credo sia quanto mi sia possibile. Risiedendo lontano dalla maggior parte degli altri membri, e da dove si sviluppa la principale attività di Manifest, la presenza fisica mi è difficile, però, non essendo l’unico Manifestante che risiede al Nord, mi piacerebbe incontrarmi con gli altri e, seguendo la scia del gruppo dei lametini, organizzare qualcosa anche quassù.

Pierluigi: Pieno, e spero aumenti!

Giulia: Sono solo agli inizi, sono una che si immerge lentamente, con i tempi di cui necessito. Ho bisogno di ponderare ogni mia scelta e sapere fino a che punto posso coinvolgermi di volta in volta. Non voglio affrettare troppo i tempi e ritrovarmi a non saper gestire come vorrei.
E’ un coinvolgimento lento, ma che di volta in volta sarà sempre più profondo.

Vincenzo: Penso che la particolarità di Manifest sia il fatto che vengono tutti accolti e la sua ragion d’essere è permettere a tutti di esprimersi.

Simona: Sono molto attiva. Ho pubblicato sul blog più di trenta scritti.

Sei entrato/a in Manifest in un secondo tempo rispetto al nucleo originario, chi o cosa ti ha avvicinato al progetto?

Andrea: Manifest è nato il 25 gennaio 2014, il mio intervento sul blog è datato 11 febbraio perciò posso affermare di essere quasi parte del nucleo originale. Ad avvicinarmi è coinvolgermi nel progetto è stata la mia amica Simona Barba Castagnaro.

Pierluigi: Vi sono entrato grazie alla conoscenza di Domenico DAgostino, e fin dallinizio del progetto. Lo ringrazio immensamente!

Giulia: Sì, io sono una degli ultimi acquisti di Manifest. E’ stato Andrea Icardi a propormi di seguire questo blog.
Conoscendoci non da molto tempo stavamo discutendo dei nostri vari interessi e gli ho rivelato la mia passione per la scrittura; incuriosito mi ha chiesto di passargli un mio pezzo e mi ha proposto di far parte degli autori.
Ero davvero emozionatissima il giorno in cui ho parlato per la prima volta con Domenico e onestamente non sapevo cosa si aspettasse da me.
Però evidentemente è stato piacevolmente colpito.

Vincenzo: Si, ho conosciuto Valeria nell’ambiente del teatro, ho partecipato con loro all’evento Parole in movimento. Scoprendo il blog mi sono offerto di scrivere. Le ho fatto leggere qualcosa che ho scritto e le è piaciuto, mi ha presentato a Domenico che mi ha accolto fraternamente.

Simona: Faccio parte di Manifest, fin dagli esordi, ed è stato Domenico D’ Agostino a contattarmi. Nonostante, ancora, mi conoscesse, appena, ha centrato in pieno il centro delle mie passioni. Quindi, ho accettato.

Hai fatto esperienze simili anche prima di Manifest?

Andrea: No, assolutamente.

Pierluigi: Sì un collettivo studentesco nella mia città, Pesaro, fra il 2010 e il 2012

Giulia: Non ho mai provato a far parte di un grande blog, di una grande famiglia. Le mie esperienze precedenti si limitano ai temi scolastici e qualche sporadico post su una pagina di citazioni.

Vincenzo: Più volte mi è stato chiesto di scrivere per blog di amici, ma mi sono quasi sempre limitato a postare commenti.

Simona: Scrivo da parecchi anni, ma non ho mai reso pubblici i miei scritti. Del resto, la mia è una scrittura profondamente introspettiva e ho, sempre, faticato a “denudarmi” in tal senso. Con Manifest ho provato ad osare.

Come fa, secondo te, Manifest a fare da collante fra diverse arti?

Andrea: Semplicemente perché non ha vincoli, non ha barriere, ma è un luogo virtuale dove chiunque si può esprimere liberamente, secondo le proprie capacità, idee e pensieri.

Pierluigi: Perché larte di qualsiasi tipo è unita da un linguaggio comune: avere qualcosa da dire su quello che accade e quello che ci circonda!

Giulia: Secondo me sono le diverse arti a fare da collante all’interno di Manifest.
L’arte in quanto tale ha diverse sfaccettature ma porta tutta quanta a qualcosa di bello ed unificante. Se non esistessero le diverse sfumature dell’arte Manifest non avrebbe senso e vita.

Vincenzo: Penso che quando si riuniscono persone creative sia normale che venga il desiderio di sperimentarsi in altre forme d’arte, senza porsi limitazioni.

Simona: Grazie alla mancanza di vincoli e alla possibilità di rappresentare se stessi nel modo che si preferisce.

Parlami (in breve) della tua passione per la scrittura.

Andrea: La mia passione per la scrittura è semplicemente un bisogno naturale di esprimermi, non tanto per comunicare qualcosa agli altri, ma per comunicare innanzitutto a me stesso.

Pierluigi: Scrivo perché amo ascoltare e raccontare storie, creare mondi plausibili- scrivo Fantasy- e perché ho qualcosa da dire sul mondo

Giulia: La mia passione per la scrittura è nata quando avevo 12 anni, quasi per caso.
E’ nata innanzitutto come necessità di sfogarmi in un periodo piuttosto buio della mia vita e poi pian piano è diventato un mezzo per capirmi e farmi capire.
Molto spesso ancora oggi mi ritrovo a preferire un testo scritto rispetto ad un colloquio, poiché su un foglio mi sento come se potessi mettere tutto ciò che produce la mia testa complicata e rendermi conto che in realtà non era così difficile.
La scrittura è per me una scoperta continua di me stessa e del mondo.

Vincenzo: Scrivere ha la funzione di indagare nella propria anima, interrogare il cuore e la mente, ma anche quella più pragmatica di far conoscere, informare, condividere, organizzare.

Simona: Ho iniziato a scrivere per l’ esigenza di sfogare il mio universo interiore e per l’ esigenza di lasciar vivere le mie emozioni. Se posso permettermi una battuta, ho iniziato a scrivere per non andare dallo psicoanalista. Scrivere, per me, in sintesi, è stato ed è, ancora, adesso, un percorso di auto-analisi, un percorso, grazie a cui ho preso consapevolezza delle mie inclinazioni e che ha dato una svolta positiva alla mia vita, permettendomi di capire che ho un talento anche io.

Qualcuno prepara un elaborato sbagliato in lingua o grammatica: come ti comporti?

Andrea: Magari cerco di farglielo notare, aspettandomi che gli altri facciano lo stesso con me.

È molto più facile notare gli errori altrui che i propri.

Pierluigi: Glielo dico, ma senza essere pesante, magari con una battuta

Giulia: Vedere errori grammaticali anche in frasi quotidiane per me è un vero e proprio abominio.
E’ un dovere conservare la bellezza e la correttezza di questa lingua e purtroppo oramai a nessuno sembra importare veramente.
Abbiamo iniziato a rovinare tutto con il linguaggio SMS: a volte è necessario usarlo, in situazioni in cui davvero abbiamo poco tempo; ma troppo spesso si usa a sproposito anche quando non serve ed è semplicemente indecente.
L’italiano è la nostra lingua e va rispettata non calpestata. Chi prepara un elaborato sbagliato nella lingua o nella grammatica DEVE essere corretto immediatamente e bisogna insegnargli il tipo e la gravità di errore fatto.

Vincenzo: Lo faccio notare.

Simona: Sono molto puntigliosa e meticolosa. Quindi, credo che segnalerei, immediatamente, gli errori che ho notato, ma, sempre e comunque, con l’ umiltà che mi contraddistingue. Fare “il fenomeno” non è, certamente, tra le mie peculiarità.

Andresti via da Lamezia? Se si, perché. Se no, cosa faresti per migliorare il territorio?

Andrea: (Facendo finta che la domanda sia riferito a dove abito io, Alessandria). Non escludo questa possibilità, la vita spesso può portare lontani dalle proprie origini. Penso che per migliorare qualcosa bisogna prima conoscere, quindi prima cercherei di conoscere ogni minima sfaccettatura, pregio o difetto e dopodiché cercherei di eliminare o rendere invisibili i difetti, per valorizzarne i pregi.

Pierluigi: Sono arrivato a Lamezia da poco, e non so cosa mi riserverà il futuro. Però spero di rimanerci più a lungo possibile. Penso, da quel poco che ho visto, che noi giovani dobbiamo inserirci nel territorio con le nostre menti e lasciarlo meglio di come lo abbiamo trovato, con ogni sorta di iniziative e sensibilizzazioni

Vincenzo: Non sono di Lamezia e il primo periodo che sono stato qui me ne lamentavo, ma ho imparato ad apprezzarla per le sue ricchezze a prima vista celate.

Simona: Non amo Lamezia, sinceramente. Non amo la sua mentalità, il pregiudizio galoppante, la chiusura. Eppure, non riesco a lasciarla. Lamezia rimane la città dei miei affetti e delle mie radici e, seppur ogni suo aspetto ci renda “lontane”, rimane e rimarrà, sempre, una linea invisibile, ma percepibile, ad unirci.

Come vedi Manifest fra 1 anno?

Andrea: Tra un anno lo vedo ramificato anche in altre zone d’Italia.

Pierluigi: Lo vedo espanso in Calabria e in Italia, partecipando a numerose iniziative.. e tanta gente in più che segue il blog!

Giulia: Speriamo di conquistare il mondo! Ma andrebbe bene anche avere un po’ di membri attivi per ogni regione d’Italia. Dobbiamo andare avanti, dobbiamo ingrandirci e farci sentire.

Vincenzo: Sono bellissimi gli eventi che abbiamo organizzato negli ultimi tempi. Immagino ancora più eventi, reading, collaborazioni, presentazioni, mostre. Auspico la nascita di una associazione culturale, da cui però il blog resti indipendente.

Simona: Spero che Manifest possa crescere, ancora, e farsi conoscere come merita e spero che, insieme ad esso, possa crescere anche ognuno di noi, come individuo a sé stante. Del resto, siamo tante personalità diverse, ognuna con le proprie tendenze e caratteristiche, che sarebbe bello poter palesare, con il relativo riscontro.

Paolo Leone

PANNA & CIOCCOLATO

Lei si chiamava Panna, lui Cioccolato. Abitavano entrambi in una città americana, cresciuti con il mito della Nazione perfetta, dell’uguaglianza, della civiltà. Panna e Cioccolato si erano conosciuti al collage.

Ecco il quadro perfetto degli Stati Uniti d’America che inneggiano al fairplay tra popoli e alla tolleranza sociale. Stati, uniti da una bandiera, da principi, da una storia.

Panna si vendeva a borghesotti per pagarsi gli studi, lui discendeva da famiglia di schiavi, cresciuto per strada senza riscatto. Era un giorno come tanti, usciti una sera per bere una buona birra messicana, quando un colpo di pistola segnò l’inizio di una fine preannunciata. Un colpo secco perforò il cuore di lui, e lei fu subito travolta dalla furia afroamericana. Uccisi entrambi per mano di altri, ragazzi contemporanei di una società ancora a metà. Non sono Romeo e Giulietta, non sono morti per amore, sono morti per ignoranza, e in questo caso i parenti e gli amici non si sono pentiti dei propri peccati. Non c’è nessun epilogo a lieto fine.

Ecco un volto dell’America che finisce nel baratro, senza luce, senza drappi a cui aggrapparsi.

L’elezione del Presidente afro-americano e il fervore col quale questa novità è stata più volte sottolineata non ha fatto che enfatizzare le differenze. Più che concentrarsi su quanto il giallo dell’abito di gala della First Lady si intonasse con il suo incarnato, ci si sarebbe dovuti concentrare su come evitare di scatenare prevedibili conflitti sociali.

Al di là del connubio bianco- giustizia e nero-delinquenza, il pingpong della violenza bicolore continua con un eco immensa, come una partita di scacchi tra giocatori esperti. Bianco – nero – bianco – nero e poi un attacco al re, un alfiere di difesa, lo scacco matto..

Ma è questa l’America sogno del mondo?

Un Paese che combatte contro l’hamburger ma persevera in guerre inutili, che ha bisogno di imbruttire una Barbie per nascondere le sue brutture, che dà solo per ricevere e mai per nulla.

Uno Stato senza Torri di guardia che si accartoccia impotente (o quasi) su se stesso sotto gli occhi impietosi della donna con la fiaccola.

Se è questa l’America, stiamone lontano!

Giusy Marasco

Giovani e cultura, a Lamezia si può: Manifest!

Iniziano ad operare sul territorio i ragazzi con la comune passione per la scrittura.

Cosa significa “manifestare”, se non esporre in pubblico in maniera chiara e puntuale una propria convinzione? E questa parola, per come viene usata oggi dai media, deve avere necessariamente una accezione negativa? Assolutamente no, ed a Lamezia, con Manifest, ne abbiamo avuto la conferma.

Manifest è una piacevole realtà cittadina, e non solo, che riunisce in un collettivo molti giovani che hanno in comune la passione per la scrittura. Nato dall’idea di Domenico D’Agostino, al progetto hanno aderito immediatamente Aldo Tomaino e Valeria D’Agostino, venendo così a costituirsi quel nucleo iniziale che poi si è rapidamente espanso, coinvolgendo molte altre persone, giovanissimi nella maggior parte.

Il “manifesto” così costituito pone al centro la Scrittura Creativa: non solo elaborati originali, scritti da giovani, ai quali viene dato risalto sul web, ma anche scrittura usata come collante, ovvero quale strumento per collegare diverse discipline come arte, musica, fotografia.

La creatività del gruppo è anche sinonimo di diversità. Pur rimanendo la scrittura quale base del lavoro, infatti, le diverse vedute, ispirazioni e nature dei partecipanti rendono Manifest un raccoglitore dove contenere la passione dei singoli.

L’attività del collettivo inizia sul web, con la creazione di un blog consultabile all’indirizzo www.manyfestt.wordpress.com, poi espandendosi ad aventi organizzati sul territorio.

A giugno 2014 si è dato vita al flash mob “parole in movimento”, dove post-it colorati con citazioni libere (dalla letteratura alla musica) sono stati attaccati a cose e persone. Successivamente il collettivo ha utilizzato spazi concessi o inviti ricevuti da associazioni, in cui Manifest ha avuto la possibilità di creare o personalizzare molteplici tavoli di lavoro.

Possiamo infatti ricordare le partecipazioni all’Ecofaggeta Festival, alla mostra Meridies, il contributo all’organizzazione del Lamezia Chess e l’evento Manifestiamoci con la creazione del laboratorio in movimento.

La fiamma di passione che da forza a Manifest è certamente forte e punta a diventare sempre più grande: il gruppo progetta di poter arrivare anche in altre regioni e di diventare una nuova ed interessante realtà a livello nazionale.

In questa società contemporanea, fondata su moda, fashion e apparenza, una realtà del genere è sicuramente apprezzabile, oltre che molto rara, ed offre certamente una vetrina per chi ama scrivere o utilizza la scrittura in maniera complementare ad altre discipline. Tutti gli interessati possono contattare Manifest su Facebook o su Twitter https://twitter.com/blogmanifest.

Le attività di questi ragazzi sono ancora in fermento ed altre iniziative saranno presto realizzate.

Preparatevi, dunque, a sentir parlare ancora di Manifest o, come esso stesso si definisce, un “collettivo di amici scrittori”.

Paolo Leone

La battaglia di Maida

Analisi storica e militare dell’evento che segnò l’inizio della fine del dominio napoleonico sull’Europa.
 

L’arco temporale che va dal 9 marzo 1796 (inizio della campagna d’Italia) al 18 giugno 1815 (battaglia di Waterloo) è passato alla storia come “età Napoleonica”: durante questo seppur breve periodo, infatti, si è vista l’ascesa, l’apice ed il declino di una della figure maggiormente ricordate nella storia, Napoleone Bonaparte.

Nonostante il Bonaparte sia ricordato come un condottiero pressoché invincibile, il cui esercito [nota bene: per esercito si intendono soltanto le truppe di terra, infatti la marina francese fu in precedenza annientata dall’ammiraglio inglese Horatio Nelson ad Abukir in Egitto il 1° agosto 1798 e di nuovo dal Nelson nella battaglia di Trafalgar il 21 ottobre 1805] fu sconfitto soltanto dal rigido inverno russo (campagna di Russia, battaglia della Beresina 26-29 novembre 1812) e da Sir Arthur Wellesley, I duca di Wellington  (battaglia di Waterloo, 18 giugno 1815),  è sempre sfuggita ai riflettori della storia una piccola battaglia sull’esito della quale gli inglesi, ed i loro alleati, costruirono le basi della loro vittoria.

Lo scontro di cui si vuole narrare, infatti, è conosciuto come “la Battaglia di Maida”, ed ebbe luogo il 4 luglio 1806 in Calabria, nell’area oggi compresa tra la Piana di Sant’Eufemia (Lamezia Terme) ed il comune di Maida, che appunto alla battaglia ha dato il nome.

I francesi già da tempo avevano scacciato i Borboni occupando la zona, ed avevano lasciato un piccolo contingente militare, circa 6000 uomini e 6 pezzi di artiglieria pesante al comando del generale Jean Reynier, nella posizione fortificata di Maida, dalla quale si poteva facilmente controllare sia il mare sia la valle del fiume Amato.

Dall’altra parte gli inglesi, che volevano proteggere i loro interessi in Sicilia e danneggiare le vie di comunicazione francesi, avevano elaborato un piano per supportare e fomentare le rivolte antifrancesi locali.

L’archeologo francese François Lenormant, testimone diretto degli eventi, scrisse che “il primo luglio [1806],  una squadra inglese venne a gettare l’ancora nel golfo di Eufemia per sbarcare sulla spiaggia, fra la foce del Lamato e quella dell’Angitola, un contingente di seimila soldati britannici comandati da sir John Stuart, nonché alcuni personaggi atti a capeggiare una insurrezione popolare nel paese”.

Horace de Rilliet, chirurgo e scrittore svizzero al seguito dell’esercito francese, rilevò come “lo scopo immediato dello sbarco era di tagliare le comunicazioni tra le province citeriori e quelle ulteriori, il che sarebbe stato facile da realizzare in questa parte dell’istmo”.

Nel frattempo gli inglesi avevano creato sulla spiaggia una testa di sbarco, da usare come campo base e da proteggere in caso di sconfitta e ritirata immediata, affidando il compito di difenderla al capitano Fischer del reggimento svizzero Watteville, inoltre al tenente del genio navale Charles Boothby era stato ordinato di prendere il Bastione di Malta, dalla cui cima poteva controllare l’entroterra e dirigere la risalita verso Nicastro.

Il 3 luglio 1806, il giorno prima della battaglia, nel tentativo di fermare l’avanzata inglese, una compagnia di polacchi (alleati dei francesi) di stanza a Nicastro al comando del capitano Laskowsky e del colonnello Grabinski, assieme ad un gruppo di volontari a cavallo formato dalla nobiltà cittadina, si portò sulla riva caricando gli inglesi: questi ultimi reagirono impiegando i cannoni costringendo i polacchi a ripiegare immediatamente verso Maida, per avere l’appoggio dei francesi.

Sempre il Lenormant ricorda come “Subito la plebe di Nicastro [si noti come la popolazione nicastrese più volte in poco tempo avesse cambiato preferenza, a seconda di quale schieramento prevalesse al momento] prese le armi e risollevò la bandiera dei Borboni, mise a sacco le case dei nobili sostenitori del re Giuseppe [Bonaparte, re di Napoli] e sgozzò i soldati francesi malati che gremivano l’ospedale civile. <Nella città di Nicastro>, scriveva qualche giorno dopo re Giuseppe al fratello Napoleone, <il comandante delle guardie d’onore è stato accecato e poi crocifisso; era un principe che mi aveva accolto in casa sua>. La sera del 3 [luglio] il generale Reynier, scorgendo Nicastro illuminata dal balcone della casa da lui occupata a Maida, disse agli ufficiali del suo stato maggiore: “Domani batteremo gli inglesi e dopodomani bruceremo Nicastro”.

I due esericiti erano quasi di pari forze: alla mancanza di cavalleria gli inglesi potevano rispondere con ben 16 pezzi di artiglieria, contro i soli 6 posseduti dai francesi. Inoltre i soldati francesi erano fiaccati dai combattimenti con le bande di briganti locali che infestavano i boschi vicino Maida.

All’alba del 4 luglio 1806 i due contingenti iniziarono gli schieramenti sul campo di battaglia.

Il generale Reynier aveva dato ordine ai suoi di spiegarsi lungo la sponda dell’Amato, proprio perchè il fiume costituiva una protezione naturale contro i già citati briganti.

Al centro dello schieramento francese venne posto il generale Delonne con circa 300 cacciatori a cavallo ed i 6 pezzi di artiglieria; sulla destra agiva il generale Digonnet con 1250 fanti e sulla sinistra il generale Compère con circa 2400 uomini. In seconda fila furono posizionati i soldati polacchi sotto la supervisione del generale Peyri.

Lo Stuard fece in modo che gli inglesi si disponessero su due file parallele, con l’ordine di mantenere la posizione e rimanere vicino alle navi; inoltre la disposizione tattica consentiva agli inglesi di creare una linea di fuoco continua poichè le due file si alternavano nel fare fuoco e nel ricaricare il fucile.

Nonostante alcuni nicastresi, “il cui parere era sostenuto dalla loro conoscenza dei luoghi, avessero suggerito ai francesi di rimanere nella loro piazzaforte di Maida, assicurandoli che se agli invasori fosse stato consentito di accamparsi sulle terre basse e paludose che si stendono da Nicastro al mare, e durante la stagione calda sono infestate dalla micidiale malaria, ben presto i nemici si sarebbero trovati in una condizione tutt’altro che propizia al combattimento ” (cit. Arthur John Strutt), il generale Reynier commise l’errore di ritenere che anche dei britannici, così come era accaduto con i Borboni, “sarebbe venuto a capo con facilità” (cit. Lenormant), dando pertanto l’ordine di attaccare.

Lo scontro iniziò attorno alle otto e mezza del mattino: il generale Compère fece subito avanzare il centro francese, ma quando questo fu a quindici passi di distanza dagli inglesi, venne accolto da un nutrito fuoco di fucili, che uccise circa 800 soldati e ferì lo stesso Compère facendolo finire prigioniero. I supersiti, privi del loro generale, si diedero ad una fuga precipitosa e disordinata, lasciando scoperta la seconda linea polacca che venne presto incalzata dagli inglesi.

L’unica speranza francese era quindi riposta nell’ala destra al comando del Digonnet, al quale furono mandati in sostegno l’artiglieria e la cavalleria. Gli inglesi non si lasciarono tuttavia sopraffare, anzi, ricorsero ad un grande esempio di astuzia militare: essendo i francesi a portata di tiro, il comandante inglese ordinò alle navi di fare fuoco con i propri cannoni, incalzando i nemici con l’artiglieria e la sua prima linea.

Poco prima di mezzogiorno la battaglia era già finita: i francesi, sconfitti ed ormai in ritirata, avevano perso sul campo circa 500 soldati, 300 erano i feriti, altri 1100 vennero fatti prigionieri; gli inglesi contavano soltanto 45 morti e 283 feriti circa.

“Era la prima volta, da lunghissimo tempo, che i francesi subivano una sconfitta per terra. Sir John Stuart ne fu tanto orgoglioso che arrivò ad insultare i vinti. <Mai>,  disse nel suo rapporto, <la vanità del nostro presuntuoso nemico è stata più duramente mortificata, mai la superiorità delle truppe britanniche più gloriosamente provata come negli avvenimenti di questa giornata memorabile>” (Lenormant).

Nonostante entrambi gli schieramenti avessero dispiegato un numero esiguo di forze rispetto ai grandi eserciti che a quel tempo si muovevano sul continente, le conseguenze della battaglia di Maida furono sostanzialmente due.

La prima fu che la vittoria inglese ricacciò i francesi verso Catanzaro, portando a Nicastro il materiale necessario ad armare una insurrezione calabrese, a capo della quale fu designato il maggiore Gualtieri (fonte sempre il Lenormant).

La seconda conseguenza derivava dal fatto che gli inglesi avevano ormai intuito come le armi da fuoco stessero lentamente spostando il vantaggio tattico dalla offesa alla difesa, dunque l’utilizzo della doppia linea che garantiva un fuoco continuo assicurava grandi possibilità di vittoria.

Nove anni dopo, infatti, il 18 giugno 1815 gli stessi inglesi, schierati in doppia linea come a Maida, fermarono una volta per tutte le guardie imperiali napoleoniche nella battaglia di Waterloo.

Ps. la città di Londra ha dedicato due quartieri, Maida hill e Maida vale, nonchè una stazione della metropolitana, a questo evento. La battaglia, inoltre, è studiata in tantissime scuole militari come esempio e storia di tattica e strategia. In Italia, e sopratutto qui in Calabria, questi fatti sono praticamente sconosciuti. Perchè?

Paolo Leone

(E’ consentita riproduzione per intero dell’articolo, citando autore e blog di provenienza. non sono consentite riproduzioni non autorizzate, copie, estrapolazioni, plagi. I trasgressori saranno perseguiti a norma di legge. I diritti delle immagini quivi riportare appartengono ai rispettivi titolari.)

Scene da film su un volo Lufthansa

I media italiani si distinguono ancora nel riportare la notizia con scarsa precisione.

Mentre il Boeing 747 Lufthansa LH403 volava sull’Atlantico, da Newark a Francoforte, il pilota ha avvertito un malore, un fortissimo mal di testa secondo fonti tedesche, ed ha deciso di dirottare il volo verso l’aeroporto più vicino, quello di Dublino.

A questo punto un passeggero, appreso il motivo del dirottamento, si sarebbe offerto per aiutare il pilota in fase di atterraggio. E’ a questo punto che fra i media italiani iniziano le discrepanze e la notizia diventa parecchio confusa.

Secondo alcuni (http://www.altopascio.info/2012/11/22/pilota-di-un-boeing-747-lufthansa-si-sente-male-passeggero-interviene-e-fa-atterrare-aereo/) ci troveremmo di fronte ad un semplice passeggero che, senza possedere nozioni di pilotaggio, sarebbe riuscito a far atterrare l’aereo, come in un film hollywoodiano. Nell’articolo, inoltre, la figura del copilota non è nemmeno menzionata.

Per l’AGI, invece, (http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201211211830-ipp-rt10322-pilota_lufthansa_sviene_passeggero_eroe_porta_in_salvo_l_aereo) il passeggero sarebbe un pilota della compagnia Air Berlin, ed, una volta ai comandi, avrebbe fatto atterrare l’aereo. Anche in questo caso, nessuna menzione per il povero copilota.

Al contrario, secondo Avionews, (http://www.avionews.it/index.php?corpo=see_news_home.php&news_id=1147512&pagina_chiamante=index.php) il passeggero, pilota di natura non specificata nell’articolo, sarebbe stato “arruolato” dal copilota ed utilizzato per compiere azioni secondarie.

Bisogna ricordare che, comunque, il regolamento aereo consente al pilota rimasto “abile” di utilizzare, se lo ritiene necessario, un passeggero per essere aiutato ai comandi.
Gli stessi regolamenti, infatti, impongono la coesistenza di due piloti, e se uno dei due accusa qualsiasi tipo di problema tale da impedirgli di pilotare, l’aereo si trova di fatto in una situazione di emergenza. Ogni pilota ,però, durante l’addestramento impara a pilotare l’aereo anche in solitaria, per ovviare a situazioni del genere.

In ogni caso l’intervento del passeggero (pilota o non) ha consentito che tutto andasse per il meglio e che gli oltre 250 passeggeri a bordo toccassero terra senza conseguenze, e la definizione di “eroe” attribuitagli dalla stessa compagnia aerea tedesce denota un atto di coraggio da apprezzare.
Le fonti giornalistiche italiane hanno, però, lasciato a desiderare.
Tutte le agenzie che hanno riportato il problema lo hanno fatto in maniera incompleta, senza dare una dimensione concreta ed attuale alla vicenda, con notizie contrastanti e poco informate. Queste mancanze, nel nostro paese, si verificano troppo spesso, impedendo agli utenti di avere una concreta e reale visione dei fatti, cosa che, un giornalismo vero e professionale, non dovrebbe consentire.

Paolo Leone